venerdì 3 aprile 2015

Citoyens

Di lacrime, di rabbia, di musica, di teste e di come l'erba del vicino sia sempre più verde e di come il cielo sia sempre più blu.
Ci vado raramente allo stadio. Perché sono diventato pigro, perché se pago Sky non mi va di sprecarlo, perché se devo pagare 5 Euro una lattina di Peroni da 33 allora vaffanculo, perché, per il calcio, l'ambiente peggiora sempre di più. Però ogni tanto capita, per scelta o per una serie fortuita di circostanze e l'esperienza è sempre bella. Sensazioni indescrivibili che forse sono accentuate dal fatto che è un evento raro, e non un obbligo da espletare ogni maledetta domenica.
Indipendentemente dalle sensazioni, comunque, solo una cosa riesce ad emozionarmi davvero una volta dentro. Non parlo di gol o mete, che più che un'emozione sono una liberazione, una gioia breve ed enorme, incastonata tra la speranza che la palla vada dove deve andare e l'attesa che non sia stato vano. Mi riferisco ovviamente a quando tutto uno stadio canta, quando ottantamila sconosciuti sembrano un corpo solo.
Per quanto sia sempre uno spettacolo, ovviamente deve trattarsi di qualcosa di speciale per poter provare un brivido vero. Sul podio salirebbero di sicuro l'inno della Lazio, sia all'inizio che alla fine della partita, per ovvie ragioni, e Flowers of Scotland con le cornamuse. Una volta, al Flaminio, ho pianto, addirittura. Mi sono sempre piaciute le cornamuse. E probabilmente l'aver iniziato a bere alle 11 può aver influito sul mio stato d'animo. Ma entrambe le cose rimangono a rispettosa distanza da quando sento uno stadio intonare la Marsigliese.
Non è un inno; è L'INNO. Quando lo sento mi infiammo, pensando a quello che è stato, a quello che ha rappresentato, a cosa è successo, all'unico momento in cui un popolo ha tagliato la testa a chi lo comandava. Per quanto possa odiare i francesi e la Francia sportivamente, non posso fare a meno di rispettarli e ammirarli. Forse è l'unico paese che possa reggere il confronto con l'Italia, come attrattive. Oltre, cavalcando un facile luogo comune, ad essere amministrato un tantino meglio. E con qualche metropolitana in più. Non che il tanto vituperato Inno di Mameli mi dispiaccia, ma forse è un misto di abitudine e campanilismo.  L'unico verso vero è "Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi". Per il resto l'Italia non s'è mai desta e ci stringiamo a coorte solo durante i mondiali e manco tutti, perché il 90% dei tifosi venderebbe un mondiale per lo scudetto o una Champions League della propria squadra. Mentre di là l'hanno fatto davvero, quando gli hanno detto Aux armes, citoyens! Formez vos bataillons! Marchons, marchons!Qu'un sang impur Abreuve nos sillons!

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