giovedì 15 novembre 2012

Quando non fischia il vento

Alla fine della fiera, siamo giunti: all'estremo lembo dell'Italia nordorientale, che sembra che sei arrivato quando il navigatore impazzisce all'altezza del passante di Mestre e invece è ancora lunga. Quel pezzo d'Italia che sembra aggiunto per sbaglio e invece è praticamente stato lasciato per ricordo, la città italiana da meno tempo: Trieste. Trst in sloveno, che sono noti per il dono della sintesi. Oltre Trieste, c'è solo Muggia prima di abbandonare l'Italia. Un piccolo paesino, un piccolo porto di confine, che in mezz'ora ci siamo girati due o tre volte sotto la pioggia prima di andare via e in cui abbiamo scoperto che se da quelle parti chiedi un cappuccino in un bar, non ti danno proprio un cappuccino. Vi lascio la sorpresa, nel caso capitate da quelle parti. Muggia, gli intenditori lo sapranno, è la cittadina che ha dato i Natali a Dario Hübner. Ci tenevo a ricordarlo. Ma torniamo a Trst.
Una città tutto sommato piccola, anche se va detto che abituati a Roma sono poche le città che possono impressionare per grandezza. Per ora potrei dire Londra, Berlino e Lima. D'altra parte anche volendo non c'è spazio, in quella sottile lingua di terra compressa tra il mare, le montagne e la Slovenia.
Le città di mare hanno per me un fascino, un richiamo che le rende speciali. A questo Trieste aggiunge un canale che, inquadrando con un ideale obiettivo il ponte e la vicina chiesa ortodossa di San Spiridione, va venire in mente Venezia; la statua di James Joyce, sul suddetto ponte, che ha vissuto per qualche anno in città e ne rimase profondamente colpito; la piazza dell'Unità d'Italia, nome quanto mai paradossale vista la moderna Italia, bella e imponente che si affaccia sul mare alle cui spalle si estende il centro storico, fatto di stradine strette ed accoglienti per chi vuole vagabondare senza meta. I palazzi, belli e curati ma non sfarzosi, sono la migliore immagine di una città magnificamente priva di turisti rompipalle. Qui la gente non ci va, troppo lontano, troppo palloso, troppi stranieri vicini.
Così è possibile visitare lo splendido castello di Miramare, o meglio il suo parco perché dentro il castello non ci siamo entrati, con una calma tonificante, favoriti da un tempo privo della temibile bora e della pioggia che era annunciata e invece ha avuto la cortesia di aspettare il giorno della partenza, del triste ritorno a casa.
Poi è anche arrivato l'inaspettato, la Risiera di san Sabba, un campo di concentramento nazista installato nel 1944 se non sbaglio con tanto di forno crematorio. Un momento di amara riflessione, con la voglia di sbattere al muro uno ad uno le teste di cazzo nazifasciste che vanno in giro tronfie ed orgogliose dei loro ideali. Un po' una forzatura, chiamarli ideali. Un oggetto, una mazza utilizzata per percuotere i prigionieri e conservata in una sala insieme ad altri reperti, è stato trafugato da un gruppo di neonazisti lasciando un volantino: i dettagli non li ricordo, ma si faceva riferimento ai camerati uccisi durante la lotta al giudaismo e al comunismo. Roba da appenderli per le palle e farli sventolare a Piazzale Loreto insieme al loro guru.
Il piccolo, ma immensamente grande per significato e importanza, museo della Risiera, di fatto porta l'esplorazione di Trieste praticamente terminata. Però, al contrario di Venezia, nella quale tornerei per la quarta volta perché ancora molti sono gli angoli inesplorati, a Trieste tornerei nonostante di fatto non ho altro da vedere. Rientra nella categoria di città che fanno bene all'anima.

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