giovedì 22 novembre 2012

SENZA PERDERE LA TENEREZZA, di P.I. Taibo II

Se non sapete chi disse che bisogna essere duri senza perdere la tenerezza, probabilmente il titolo non vi dirà niente; il titolo originale in effetti è più esplicativo: Ernesto Guevara, también conocido como el Che. La monumentale biografia del Che, ad opera di Paco Ignacio Taibo II. Praticamente un testo sacro. La mole del volume, l'intensità del contenuto, l'importanza del personaggio che spesso è considerato un santo laico contribuivano a creare un alone mistico mentre sfogliavo le pagine del libro, uscito malconcio causa pioggia, ma comunque integro.

Merita il voto massimo, che in realtà è una media tra un qualcosa di superiore, che non può essere calcolato con la scala usata per i libri comuni e lo zero assoluto che vale se messo nelle mani sbagliate, nelle mani di chi non dovrebbe leggerlo perché non è in grado di capire. Vuoi perché superficiale, vuoi perché qualunquista, vuoi perché per qualche strano motivo si ritiene fascista, vuoi perché parla di comunismo senza capire che parla di qualcosa che non è mai esistito se non come ideale, come utopia, senza che sia stato minimamente raggiunto.
Che poi nonostante determinate visioni politiche permeino il libro, non è un libro politico. Assolutamente. Rimane pur sempre una biografia, la vita di un uomo della quale però non si riesce a coglierne la grandezza se si pensa che i rumeni ti rubino il lavoro. Un mese di lettura che, grazie anche all'ottima scrittura dell'autore, mi ha permesso di raggiungere un'unione profonda con il comandante Guevara, rivivendo la sua vita come se fossi stato di fianco a lui, guardandolo con gli occhi di Alberto Granado, Enrique Acevedo, Victor Dreke.
La curiosità di scoprire fatti inutili e curiosi, il coinvolgimento durante la battaglia di Santa Clara, lo scoramento in Congo e la profonda tristezza nella Quebrada del Yuro. E la malinconia, e la speranza che non sia stato vano, e la certezza che qualcosa sia rimasto dentro di te, e la promessa:

Addio, dormi tranquillo
Perché non finisce qui
L'avventura è ripartita
Resta intatta l'ultima idea
E da qualche parte nel mondo
C'è qualcuno come te
Che prepara un nuovo viaggio.
Una fotografia scattata nel 1929 a Caraguatay, Misiones, mostra un Ernesto Guevara all'età di quattordici mesi che tiene in mano una tazzina (o una cannuccia per il mate), indossa una mantellina bianca e ha intesta un orrendo berrettino che ricorda un salacot coloniale, preannunciando il disastro che lo accompagnerà per tutta la vita in fatto di abbigliamento, quello stile peculiarmente cencioso che sarà il suo sigillo personale.
Correva per il terreno di gioco ululando: scansatevi, arriva il Furibondo Serna! Fu-ser, El Fúser, il suo futuro soprannome.
Una volta Calica gli chiede dei soldi del fondo comune per farsi un bagno, ed Ernesto gli dice molto seriamente che è superfluo, che prima viene il cibo e poi la pulizia.
Sconcertando i compagni, mentre tutti tornano in città Ernesto resta in campagna con un sacco a pelo, il Popol Vuh e un altro paio di libri sulla vita degli antichi Maya. Una cura di solitudine senza cibo, solo un thermos di mate e una pila di libri.
La prima conversazione tra Fidel e Guevara dura otto o dieci ore, a seconda della memoria dei testimoni o di chi  in futuro interrogherà i testimoni, e ai due protagonisti resterà profondamente scolpita nella memoria.
Mentre acquisisce a poco a poco espressioni cubane che incorporerà nel suo lessico argentino pieno di latinoamericanismi raccolti per tutto il continente, mentre rimane affascinato dalle ossessioni igieniche dei cubani, che fanno il bagno due volte al giorno persino nell'acqua gelata di Chalco, mentre scrive una nuova poesia o gioca a scacchi, comincia a essere chiamato da tutti il Che, a causa dell'eterna abitudine argentina, che non riesce ad evitare, di chiamare tutti mettendo quel "che" davanti, cosa che i cubani trovano buffa.
Sono passati quattro mesi e mezzo da quando è stato nominato comandante e il Che si sente un fallito. [...] E forse è presto perché possa valutare i due grandi successi che ha ottenuto in quei mesi: ha creato un'amplissima rete contadina che lo rispetta e ha per lui un'autentica adorazione, e ha innalzato intorno a sé un'aura magica. Il Che è il giusto, l'egualitario, quello che non chiede mai a nessuno di fare qualcosa che lui non fa.
Il Che ha introdotto sulla Sierra l'abitudine di bere mate al posto del tradizionale caffè, cosa che lascia molto perplessi i guajiros. Da dove lo tira fuori? Glielo manda la zia Beatriz. Qual è la meravigliosa rete di sua zia che arriva dall'Argentina fino in capo al mondo, sulla Sierra Maestra?
Alla testa della colonna, puntando su Santa Clara, cavalcava la fama dei ribelli, noti come i Mau Mau [...] e poi il resto della colonna, capeggiata dal suo comandante Ernesto Guevara, noto come il Che, del quale si diceva che potesse essere in luoghi diversi contemporaneamente e che combattesse stando in piedi tra le pallottole.
[...]Aleida e Manresa, arrabbiati, cercano di contenere la valanga che cade sul Che, che trova il tempo per [...] visitare filiali bancarie. In una di queste visite trova un cartello sopra la cassa: SONO AL SERVIZIO DEL POPOLO. Quando esce il Che suggerisce a Villaseca di dire al cassiere di girare il cartello perché sia lui a leggerlo in ogni momento e a ricordarsene.
L'america Latina non era solo un territorio salgariano in cui andare a sbaragliare i miserabili a testa alta, o un luogo di sogni giovanili associati alla vendetta  del capitano Nemo di Verne, seguendo le immagini letterarie dell'infanzia del Che. L'America Latina era anche un continente assolutamente reale. E le sue immagini, la profonda miseria dei barrios di Caracas, l'orrore della disuguaglianza sociale peruviana, la demagogia dei militari boliviani, la corruzione dello stato messicano, la prepotenza dei militari colombiani, le prevaricazioni imperialistico-criminali nel Centroamerica, i dittatori di cartone che ordinavano le torture, la denutrizione, la fame, l'ignoranza, la paura, erano immagini reali che il Che aveva fissato nei propri occhi durante i viaggi di gioventù. Ecco l'origine della tenacia del Che, della chiara coscienza che la necessità della rivoluzione latinoamericana, e non solo la sua necessità morale, fosse indifferibile.
I diversi testimoni sembrano concordare sull'ora della morte di Ernesto Che Guevara: verso l'una e dieci del pomeriggio di lunedì 9 Ottobre 1967.
In soli undici anni scarsi di vita politica, e senza volerlo, il Che era diventato un simbolo dell'eternamente rimandata e tradita rivoluzione latinoamericana, e la nostra unica certezza in quegli anni era che la materia di cui sono fatti i sogni non muore mai.
Dalle migliaia di foto, poster, magliette, nastri, dischi, video, cartoline, ritratti, riviste, libri, itinerari turistici, cd, frasi, testimonianze, tutti fantasmi della società industriale che non sa custodire i suoi miti nella sobrietà della memoria, il Che ci guarda attento. Ritorna al di là di tutte le cianfrusaglie in un'epoca di naufragi, è il nostro santo laico. Più di quarant'anni dopo la sua morte, la sua immagine attraversa le generazioni, il suo mito passa di corsa in mezzo ai deliri di grandezza del neoliberismo. Irriverente, beffardo, ostinato, moralmente ostinato, indimenticabile.
Voto: 5/5

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