giovedì 18 aprile 2013

My liver won't go on

Non è che uno vuole stare sempre a bere, però c'è da dire che le possibilità non sono molte.
A parte che a quanto pare le fiere sembra che siano fatte per motivi di lavoro, ma in realtà lo scopo primario è bere, mangiare e smerciare gadget. Uno stand, mi pare fossero norvegesi, aveva un barilotto di birra e spillava come se niente fosse, altri davano come gadget un portachiavi agganciato a una bottiglia di birra. Birra tedesca, di Rostock, per la precisione.
Passando la maggior parte del tempo tra i docks, non è che abbia visto poi molto di Southampton. Ma credo di aver visto quasi tutto. Molto British, dalle casette di mattoni, tutte uguali, con il giardinetto, le tendine alle finestre, al cielo implacabilmente grigio, con quella pioggia incessante che ti fotte perché non sei abituato, pensi che prima o poi finiranno i preliminari e scenderà giù di santa ragione e invece né prima né poi, sempre così tutto il giorno e tutta la notte. Un pomeriggio, soltanto un pomeriggio è stato concesso di grazia, in cui si è intravisto l'azzurro del cielo, scontato immediatamente la mattina dopo con una lieve grandinata. E quindi che fai, che ci vai a fare in giro? Te ne stai al chiuso a bere, che poi guarda caso era il periodo del festival delle Ales, milioni e milioni di birre diverse. ho bevuto più birra in cinque giorni a Southampton che in quattro mesi a Roma. E non faccio paragoni di qualità perché non voglio sparare sulla croce rossa.
Sapete per cosa è famosa Southampton? Da qui partì il Titanic, nel suo fortunato viaggio inaugurale. Da qualche parte, nei docks, c'è una pietra commemorativa. Non ho avuto modo di vederla, ho visto solo il cartello che diceva che c'era. Lo so, so' boni tutti a mettece 'na scritta su un cartello. In compenso sono stato ad un pub chiamato Titanic. Uno dei grandi rimpianti della mia esistenza è non aver filmato quei momenti.
Siamo entrati alle dieci e mezza, forse undici. Luci soffuse, c'erano delle lampade sparse sui tavolini. Moquette rossa a terra, tavoli e divani sparsi, come se servissero per arredare e non per far accomodare i clienti. Appese al muro foto d'epoca del Titanic, di fianco al divano dove ci eravamo seduti un pianoforte. In fondo al pub, all'angolo, quattro nerd che giocavano a qualche gioco di ruolo. Sul centro destra, il bancone. Cinque persone sedute, ambosessi, età media 83 anni, di cui uno che a intervalli regolari si lasciava andare in una prolungata e fragorosa risata.  Completa la scena il barista, che di certo non abbassava la media di quelli al bancone, ma che maestria quando mi ha spillato la mia pinta di Titanic ale. Scene, che hai visto dei film, che hai sentito dire che esistono ancora ma non ti sembrano vere, ormai non possono più esistere queste cose nell'era di Internet, del Wifi e dell'iPhone.
Ed invece, alle 23.30 spaccate, il vecchio barista abbandona il bancone, passa in rassegna le lampade del pub spegnendole una ad una, saluta cordialmente tutto il gruppo di vecchietti e ci dice, con soavità: "Time to go home, lovey people!".

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