martedì 18 giugno 2013

TERRA DEL FUOCO, di F. Coloane

Dopo aver letto Sepúlveda, dopo aver accarezzato l'idea di fare un viaggio nella Terra del Fuoco, leggere Francisco Coloane non era che questione di tempo. Sono rimasto fregato, perché pensavo che fosse un romanzo e invece sono racconti, ma vabbè.
Mi ha ricordato molto Traven per le parti ambientate sulla terraferma e Conrad e  per le parti ambientate in mare. Storie d'avventura, storie di una volta. Cercatori d'oro, avventurieri, cacciatori, un mondo che non ci appartiene, che ha regole differenti dal nostro, e da cui subiamo un'attrazione inspiegabile, quella nostalgia per le cose che non abbiamo mai conosciuto.
Ma in questi libri è la natura, in tutta la sua possenza e grandiosità, a dominare la scena, la natura della Patagonia e della Terra del Fuoco con le sue distese sconfinate, le scogliere e le isole, i mari freddi e turbolenti, le alte montagne, in cui i protagonisti dei racconti si muovono da comprimari, come semplici pedine all'interno di qualcosa molto più grande di loro.
Storie di una volta, dicevo. Perché  l'avventura oggi non va più di moda, l'unica eccezione che conosco è Patrick O'Brian. Non si tratta di un libro che ci fa riflettere su noi stessi e sui problemi della vita, quindi chi è alla perenne ricerca di libri che possano cambiargli la vita rimarrebbe deluso. Ma è un libro che è in grado di farci sognare, di immaginare persone e luoghi sconosciuti e di farci desiderare di visitare quelle magiche terre al più presto.
La sconfitta cavalcava al fianco di quei tre uomini che attraversavano il Páramo al trotto veloce.
Era in quei momenti che Shaeffer allungava il collo, come un uccello, ma non per far spiccare il volo a una preghiera, bensì per lanciare una scarica di maledizioni al cielo e al suo Dio, per averlo cacciato in una situazione così disgraziata.
Allora a che ti servono i soldi se non puoi vivere come Dio comanda? Il cuore ti diventa come quei mucchi di torba: pieno di radici, ma così contorte e secche da non poter far nascere neppure un filo d'erba. Sarà anche per questo che uno finisce col non tenerci granché, alla vita, e si comporta come se non valesse niente...
Il mare, per quanto possa essere cupo e violento quando si naviga nel mezzo della sua vastità, da quella distanza assumeva le sembianze di un immenso compagno, una quieta pianura di pace, la cui vista infondeva calma e, soprattutto, una vaga e indefinibile sensazione di speranza.
Voto: 4/5

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