La filosofia dei presocratici è incentrata sulla ricerca dell’archè, il principio base del fantacalcio. Per
Talete questo principio è il gol e i risultati delle prime partite di
fantacalcio corrispondevano al numero dei gol messi a segno dai
giocatori delle stesse. Anassimandro, invece, identifica l’archè
con il voto del giornalista, mentre Anassimene comprende che né i gol né
i voti sono identificativi del risultato di una squadra e considera
come principio base le fasce di punteggio.
Pitagora, appassionato
di numeri, è il primo a mettere al centro il modulo di gioco. A lui si
deve l’importante principio secondo cui qualsiasi modulo tu abbia in
mente, la somma dei difensori, degli attaccanti e dei centrocampisti
sarà sempre 10. Pitagora predilige il cosiddetto modulo tetraktys (il
4-3-2-1, più tardi erroneamente ribattezzato albero di natale) e nella sua
lega non erano ammesse le donne. Si narra però di una ragazza, una certa
Milandra, che riuscì ad entrare nella lega pitagorica travestendosi da
uomo, e che – dopo aver battuto il maestro nella finale di lega – rivelò
la propria identità. Pitagora, cornuto e mazziato, abbandonò il
fantacalcio per dedicarsi alla matematica.
E passiamo a
Socrate, il primo vero fantafilosofo di una certa importanza. Intavolava
discussioni con chiunque e improvvisava aste fermando la gente per
strada, eppure non si riteneva un esperto. “So solo una cosa: di niente
sapere” soleva dire, per indicare come non ci fosse una strada sicura
per la vittoria. Socrate non voleva insegnare le proprie verità, ma
stimolare maieuticamente i suoi discepoli a ricercare la propria strada
dentro di essi, in base al famoso motto “conosci te stesso”. Accusato
di corruzione di minori, Socrate cercò di difendersi, ma venne
incastrato per una questione di passaporti falsi e fideiussioni non
pagate. Riconosciuto colpevole, fu condannato a iniettarsi una fiala di
cicuta.
A Platone il fantacalcio non piaceva, in quanto lo riteneva di due gradi lontano dal vero. Infatti per Platone il vero calcio è quello che si gioca nell’Iperuranio, il mondo delle idee. “Già il campionato greco è lontano da quel calcio ideale, figuriamoci il fantacalcio.” E con questo chiudeva la questione.
A Platone il fantacalcio non piaceva, in quanto lo riteneva di due gradi lontano dal vero. Infatti per Platone il vero calcio è quello che si gioca nell’Iperuranio, il mondo delle idee. “Già il campionato greco è lontano da quel calcio ideale, figuriamoci il fantacalcio.” E con questo chiudeva la questione.
Aristotele
fu il primo a occuparsi di fantacalcio a 360°. Provò a dare una
risposta a tutte le domande, a risolvere tutte le questioni aperte.
Anche se le sue teorie sono state superate e smentite dagli studi
successivi, la sua opera rimane meritoria, in particolare la logica di
acquisto di un giocatore. Alla domanda se Lucarelli fosse o meno un buon
centravanti, rispondeva così: “Un buon centravanti segna almeno 15 gol a
stagione. Lucarelli lo scorso anno ha segnato 24 gol. Quindi Lucarelli è
un buon centravanti.”
Dopo l’avvento del Cristianesimo la
Chiesa cominciò a farla da padrone e a diramare regole e precetti che
la maggior parte dei fantallenatori non capiva.
In età medioevale le
cose andavano anche peggio. Guai a chi sgarrava: le leghe che
ufficializzavano il 3-4-3 venivano consegnate all’inquisizione e si
rischiava la condanna al rogo per aver pronunciato la parola assist. Il
regolamento ufficiale era scritto in latino e ci si opponeva a una sua
traduzione.
Finchè un giorno Martin Lutero disgustato dalla pratica
delle indulgenze (versando 5 crediti veniva cancellato il malus
dell’ammonizione) provocò un grave scisma fantacalcistico affiggendo
alla porta della cattedrale di Colonia le regole del fantacalcio in
modalità gran premio.
In età rinascimentale occorre citare
Hobbes e le sue teorie su come organizzare una lega ordinata e
pacifica, che egli crede realizzabile solo attraverso il potere assoluto
del presidente di lega. Hobbes vede il fantacalcio come una lotta
di tutti contro tutti, in cui per vincere si è disposti a tutto,
secondo il principio dell’ homo homini lupus. Da ciò deriva la
giustificazione del potere sovrano affidato al consiglio di lega e
soprattutto al presidente, che si configura come il Leviatano, la più
potente e terribile delle creature.
Con l’Illuminismo il
dibattito si sposta sulla ragione. Le squadre vengono costruite e
schierate in campo non in base alla fede calcistica del tifoso, ma in
modo razionale, sulle effettive possibilità di fare bene. Kant cerca di
rispondere a domande come “Che cosa posso sapere?” e “Che cosa devo
fare?”. Per rispondere occorre indagare la realtà; la realtà come ci
appare e come è visibile ai nostri sensi. Ciò che non è possibile
riscontrare nell’oggetto in sé stesso, ma che si riscontra nei rapporti
col soggetto e che è inseparabile dalla rappresentazione dello stesso,
Kant lo chiama Fenomeno. I suoi avversari, confusi, credettero che
per vincere bisognasse avere Ronaldo in squadra e si svenarono per
comprare il fenomeno. Ma Kant li superò con il concetto di Noumeno, ciò
che è pensabile, ma non conoscibile. Ovvero: con Ronaldo potete pensare
di vincere, ma non conoscerete la vittoria.
Jean Jacques Rousseau
nel suo Discorso sull’origine dell’ineguaglianza, punta il dito contro
la nobiltà francese, che in base a una legge iniqua poteva spendere
all’asta una somma pari a 100 volte quella del terzo stato. Aggiungete
che solo ai nobili era consentito ricoprire la carica di presidente di
lega e capirete come mai l’opera di Rousseau abbia gettato le basi per
la rivoluzione.
Nel "Fantacalcio come volontà e
rappresentazione", Schopenhauer afferma che alla base del gioco c’è la
volontà di vincere e che tale volontà e fonte di ansia e di sofferenza. In
realtà Schopenhauer identifica le sue domeniche con due sentimenti: il
dolore per le sconfitte e la noia quando non gioca la seria A. Non
riusciva mai a godersi appieno una vittoria e da ciò deriva la sua fama
di pessimista (oltre a una serie di brucianti sconfitte per mezzo
punto).
Per Feuerbach “l’uomo e ciò che mangia”, che tradotto in
termini fantacalcistici vuol dire: “fammi dare un’occhiata alla tua
squadra e ti diro chi sei”.
Ma passiamo ora a un grande pensatore destinato a rivoluzionare le sorti del gioco: Karl Marx. Nella
sua opera “il Capitale”, egli dimostra come i reparti che corrono e
faticano di più siano il centrocampo e la difesa, in particolare i
mediani e i centrali con vocazione difensiva. Ma a questo “plus lavoro”
non corrisponde un adeguato “plus valore”. Così nel Manifesto del
partito centrocampista elabora e propone i modificatori di reparto e
profetizza l’avvento di una dittatura del centrocampo.
Albert
Einstein è un’altra eccezionale figura della fantafilosofia.
Fondamentale il suo studio sul principio della relatività, in base a cui
il valore di un giocatore non è assoluto, ma relativo a due coordinate:
lo spazio (cioè il luogo, ovvero se si gioca in casa o fuori) e il
tempo (cioè il calendario). Combinando questi due parametri Einstein
ottiene la tabella dei portieri. Per spiegare come decidere quale
giocatore impiegare egli fa ricorso al paradosso dei gemelli Zenoni: se
ho in rosa due gemelli di uguale bravura, schiererò quello che ha
l’impegno più facile.
Heisenberg completa l’opera ipotizzando il
principio di indeterminazione. Secondo tale principio non è possibile
stabilire a priori e con certezza se convenga schierare un
centrocampista in più piuttosto che un attaccante. Al massimo possiamo
affidarci alla statistica: schiererò il 4-3-3 se l’eventuale terza punta
ha almeno il 33% di probabilità di segnare.
E chiudiamo questa
carrellata con Karl Popper, che in "Cattiva maestra televisione" si
schiera contro i mass media e in particolare la tv, che spalmando le
partite nel week-end ha ormai ridotto il piacere di giocare. “Inoltre in
televisione non danno mai notizie veritiere sugli infortunati e quando
trasmettono i servizi, questi sono incompleti e non è possibile
stabilire gli autori degli assist”, era solito dire il buon Karl.
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