mercoledì 28 agosto 2013

Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito fantacalcio.

Trovata su internet; fonte incerta, ma significato profondissimo.

La filosofia dei presocratici è incentrata sulla ricerca dell’archè, il principio base del fantacalcio. Per Talete questo principio è il gol e i risultati delle prime partite di fantacalcio corrispondevano al numero dei gol messi a segno dai giocatori delle stesse. Anassimandro, invece, identifica l’archè con il voto del giornalista, mentre Anassimene comprende che né i gol né i voti sono identificativi del risultato di una squadra e considera come principio base le fasce di punteggio.
Pitagora, appassionato di numeri, è il primo a mettere al centro il modulo di gioco. A lui si deve l’importante principio secondo cui qualsiasi modulo tu abbia in mente, la somma dei difensori, degli attaccanti e dei centrocampisti sarà sempre 10. Pitagora predilige il cosiddetto modulo tetraktys (il 4-3-2-1, più tardi erroneamente ribattezzato albero di natale) e nella sua lega non erano ammesse le donne. Si narra però di una ragazza, una certa Milandra, che riuscì ad entrare nella lega pitagorica travestendosi da uomo, e che – dopo aver battuto il maestro nella finale di lega – rivelò la propria identità. Pitagora, cornuto e mazziato, abbandonò il fantacalcio per dedicarsi alla matematica.
E passiamo a Socrate, il primo vero fantafilosofo di una certa importanza. Intavolava discussioni con chiunque e improvvisava aste fermando la gente per strada, eppure non si riteneva un esperto. “So solo una cosa: di niente sapere” soleva dire, per indicare come non ci fosse una strada sicura per la vittoria. Socrate non voleva insegnare le proprie verità, ma stimolare maieuticamente i suoi discepoli a ricercare la propria strada dentro di essi, in base al famoso motto “conosci te stesso”. Accusato di corruzione di minori, Socrate cercò di difendersi, ma venne incastrato per una questione di passaporti falsi e fideiussioni non pagate. Riconosciuto colpevole, fu condannato a iniettarsi una fiala di cicuta.
A Platone il fantacalcio non piaceva, in quanto lo riteneva di due gradi lontano dal vero. Infatti per Platone il vero calcio è quello che si gioca nell’Iperuranio, il mondo delle idee. “Già il campionato greco è lontano da quel calcio ideale, figuriamoci il fantacalcio.” E con questo chiudeva la questione. 
Aristotele fu il primo a occuparsi di fantacalcio a 360°. Provò a dare una risposta a tutte le domande, a risolvere tutte le questioni aperte. Anche se le sue teorie sono state superate e smentite dagli studi successivi, la sua opera rimane meritoria, in particolare la logica di acquisto di un giocatore. Alla domanda se Lucarelli fosse o meno un buon centravanti, rispondeva così: “Un buon centravanti segna almeno 15 gol a stagione. Lucarelli lo scorso anno ha segnato 24 gol. Quindi Lucarelli è un buon centravanti.”
Dopo l’avvento del Cristianesimo la Chiesa cominciò a farla da padrone e a diramare regole e precetti che la maggior parte dei fantallenatori non capiva.
In età medioevale le cose andavano anche peggio. Guai a chi sgarrava: le leghe che ufficializzavano il 3-4-3 venivano consegnate all’inquisizione e si rischiava la condanna al rogo per aver pronunciato la parola assist. Il regolamento ufficiale era scritto in latino e ci si opponeva a una sua traduzione.
Finchè un giorno  Martin Lutero disgustato dalla pratica delle indulgenze (versando 5 crediti veniva cancellato il malus dell’ammonizione) provocò un grave scisma fantacalcistico affiggendo alla porta della cattedrale di Colonia le regole del fantacalcio in modalità gran premio.
In età rinascimentale occorre citare Hobbes e le sue teorie su come organizzare una lega ordinata e pacifica, che egli crede realizzabile solo attraverso il potere assoluto del presidente di lega. Hobbes vede il fantacalcio come una lotta di tutti contro tutti, in cui per vincere si è disposti a tutto, secondo il principio dell’ homo homini lupus. Da ciò deriva la giustificazione del potere sovrano affidato al consiglio di lega e soprattutto al presidente, che si configura come il Leviatano, la più potente e terribile delle creature.
Con l’Illuminismo il dibattito si sposta sulla ragione. Le squadre vengono costruite e schierate in campo non in base alla fede calcistica del tifoso, ma in modo razionale, sulle effettive possibilità di fare bene. Kant cerca di rispondere a domande come “Che cosa posso sapere?” e “Che cosa devo fare?”. Per rispondere occorre indagare la realtà; la realtà come ci appare e come è visibile ai nostri sensi. Ciò che non è possibile riscontrare nell’oggetto in sé stesso, ma che si riscontra nei rapporti col soggetto e che è inseparabile dalla rappresentazione dello stesso, Kant lo chiama Fenomeno. I suoi avversari, confusi, credettero che per vincere bisognasse avere Ronaldo in squadra e si svenarono per comprare il fenomeno. Ma Kant li superò con il concetto di Noumeno, ciò che è pensabile, ma non conoscibile. Ovvero: con Ronaldo potete pensare di vincere, ma non conoscerete la vittoria.
Jean Jacques Rousseau nel suo Discorso sull’origine dell’ineguaglianza, punta il dito contro la nobiltà francese, che in base a una legge iniqua poteva spendere all’asta una somma pari a 100 volte quella del terzo stato. Aggiungete che solo ai nobili era consentito ricoprire la carica di presidente di lega e capirete come mai l’opera di Rousseau abbia gettato le basi per la rivoluzione.
Nel "Fantacalcio come volontà e rappresentazione", Schopenhauer afferma che alla base del gioco c’è la volontà di vincere e che tale volontà e fonte di ansia e di sofferenza. In realtà Schopenhauer identifica le sue domeniche con due sentimenti: il dolore per le sconfitte e la noia quando non gioca la seria A. Non riusciva mai a godersi appieno una vittoria e da ciò deriva la sua fama di pessimista (oltre a una serie di brucianti sconfitte per mezzo punto).
Per Feuerbach “l’uomo e ciò che mangia”, che tradotto in termini fantacalcistici vuol dire: “fammi dare un’occhiata alla tua squadra e ti diro chi sei”.
Ma passiamo ora a un grande pensatore destinato a rivoluzionare le sorti del gioco: Karl Marx. Nella sua opera “il Capitale”, egli dimostra come i reparti che corrono e faticano di più siano il centrocampo e la difesa, in particolare i mediani e i centrali con vocazione difensiva. Ma a questo “plus lavoro” non corrisponde un adeguato “plus valore”. Così nel Manifesto del partito centrocampista elabora e propone i modificatori di reparto e profetizza l’avvento di una dittatura del centrocampo.
Albert Einstein è un’altra eccezionale figura della fantafilosofia. Fondamentale il suo studio sul principio della relatività, in base a cui il valore di un giocatore non è assoluto, ma relativo a due coordinate: lo spazio (cioè il luogo, ovvero se si gioca in casa o fuori) e il tempo (cioè il calendario). Combinando questi due parametri Einstein ottiene la tabella dei portieri. Per spiegare come decidere quale giocatore impiegare egli fa ricorso al paradosso dei gemelli Zenoni: se ho in rosa due gemelli di uguale bravura, schiererò quello che ha l’impegno più facile.
Heisenberg completa l’opera ipotizzando il principio di indeterminazione. Secondo tale principio non è possibile stabilire a priori e con certezza se convenga schierare un centrocampista in più piuttosto che un attaccante. Al massimo possiamo affidarci alla statistica: schiererò il 4-3-3 se l’eventuale terza punta ha almeno il 33% di probabilità di segnare.
E chiudiamo questa carrellata con Karl Popper, che in "Cattiva maestra televisione" si schiera contro i mass media e in particolare la tv, che spalmando le partite nel week-end ha ormai ridotto il piacere di giocare. “Inoltre in televisione non danno mai notizie veritiere sugli infortunati e quando trasmettono i servizi, questi sono incompleti e non è possibile stabilire gli autori degli assist”, era solito dire il buon Karl.

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