martedì 4 marzo 2014

LE AVVENTURE DI HÉCTOR BELASCOARÁN, di P.I. Taibo II

La fine e l'inizio. Leggo gli ultimi libri che mi mancavano, i primi in ordine temporale, in cui si capisce perché
Héctor Belascoarán fa l'investigatore e come ha perso l'occhio e chi è la ragazza con la coda di cavallo.
Sono tre romanzi. Nel primo un Héctor Belascoarán, lasciato dalla moglie, abbandona il suo lavoro da ingegnere in fabbrica per cercare di scoprire l'identità di un misterioso strangolatore. E ci riuscirà, anche se troppo tardi, quando avrà ucciso già tutte le persone che voleva uccidere col suo folle piano. Ma deciderà di continuare a fare il detective. Nel secondo, si trova ad affrontare tre casi contemporaneamente: la morte di un dirigente in un'azienda e gli strani intrecci tra questa morte, gli operai in sciopero e i segreti che molti nascondono; una ragazzina minacciata di morte perché è entrata in possesso di qualcosa di scottante, ma non vuole rivelare cosa; la ricerca del fantasma di Emiliano Zapata, che secondo il suo cliente è ancora vivo. Nel terzo, infine, lo troviamo lontano dal suo ambiente naturale, il Distretto Federale, che ha lasciato dopo che un ragazzino è rimasto coinvolto in una sparatoria a causa sua. Ma ritorna per aiutare un'amica della sorella, il cui marito è stato ucciso, lasciando un'eredità misteriosa.
Si inizia a conoscere e ad amare Héctor Belascoarán, anzi Héctor Belascoarán Shayne, e molti lo chiamano solo col cognome irlandese della madre visto l'ostico cognome basco del padre, per essere puntualmente corretti da Héctor. Nel suo ufficio, inizialmente condiviso solo con l'idraulico Gilberto Gomez Letras, arrivano poi anche gli altri due strani soggetti, il tappezziere Carlos Vargas e l'ingegnere Javier Villarreal, il "Gallo".
Dopo aver letto tutto, oltre al rammarico di non aver altro da leggere, visto che Morti Scomodi, scritto a quattro mani con il Subcomandante Marcos, è introvabile in italiano, ho una domanda. La stessa che spesso era rivolta a Mario Conde: Héctor, si può sapere perché cazzo fai l'investigatore?

Da Días de combate
La città gli si schiudeva come un mostruoso prodigio, come il ventre fetido di una balena, o un barattolo di conserve andate a male. Nelle scarse ore di sonno, sonno di uomo sfinito, di operaio distrutto dalla giornata di lavoro, la città diventava un personaggio, un soggetto e un amante. Il mostro gli mandava segnali, esalava brezze pregne di strane intenzioni. La foresta di antenne televisive bombardava di onde, messaggi, pubblicità. L’asfalto, le vetrine, i muri, le macchine, le taquerías a legna, i cani randagi lo invitavano a entrare nel loro stesso ritmo.
«Sono sempre lo stesso, merda. Ho il maledetto vizio di essere come sono. Per questo fingo».
Ma qualcosa gli guastava la mattina, gli rodeva dentro: era la routine in cui stava ricadendo, in un certo senso la conferma del fatto che persino quando sguazza in un pantano, l’uomo si protegge dall’imprevisto facendo ricorso ad abitudini, ripetizioni e fedeltà alle catene di azioni che trasformano la vita in un confortevole seno materno.
La sua stessa timidezza, la sua debolezza non gli consentivano di avvicinarsi alla debolezza altrui. Ciò che andava bene per lui, a cui sapeva reagire efficacemente, erano i dialoghi secchi, le facce inespressive, le cose dette tra i denti.
«Sto svolgendo un’indagine sulla rete fognaria di Città del Messico. Sa, si tratta della mia ricerca per la tesi di praticantato. Mi ha sempre affascinato l’idea che un giorno in questa città saremo tutti morti, affogati nella merda.»
Da Cosa fácil
Doveva osservare la targa, una mattina dopo l’altra, per ricordarsi che non poteva prendere niente troppo sul serio. Nessun detective da film serio dividerebbe il proprio ufficio con un esperto in spurgo fogne, un tappezziere e un idraulico. «Sembra un po’ una multiproprietà» pensò.
La posa grottesca suggerita dalle mani che ricadevano lungo il corpo abbandonato con i palmi all’insù, lo infastidiva. Toglieva serietà alla morte. Ma doveva per forza essere seria, la morte?
In una città di dodici milioni di abitanti la fortuna non esiste, esiste solo la malasorte.
Stava quasi per accettare la tesi del tappezziere che ripeteva in continuazione: «In questo paese non succede mai niente, neanche quando sembra di sì…»
Da Algunas Nubes
Alzò il bavero della giacca e cominciò a schivare pozzanghere. Era questa la città che lo stava aspettando. La stessa di sempre. Un po’ carogna, come buona parte dei suoi abitanti. Calcolò male un salto e infilò il piede in un rigagnolo. Non poté impedirsi di sorridere. Era un modo per dargli il benvenuto.
«Questo paese ti uccide, Héctor» disse lo scrittore mentre si tormentava il naso. «Ti uccide in molti modi. Per corruzione, per noia, per coglionaggine, per fame, per disoccupazione, per freddo, per le pallottole vaganti…»
Il cielo continuava a sputare una pioggerella fina. Segno che il diluvio non era una frottola pronosticata da qualche mago azteco, ma il giusto destino di Città del Messico.
Voto: 4,5/5

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