giovedì 26 dicembre 2013

México sí, Yanquis no

L'ho rifatto. Non volevo, non pensavo, non credevo, non mi andava. Eppure l'ho rifatto. Ho scritto un altro libro. Sto cercando di analizzare con razionalità come sia stato possibile. L'unica spiegazione plausibile è che tre settimane in Messico andavano preservate, in qualche modo. E sul blog sarebbe stato troppo lungo. Quindi, diversamente dagli altri, più che un libro è un ricordo. A pensarci prima avrei fatto solo libri di viaggi. Perché ora, chiaramente, non mi va di cambiare nulla.
Ad ogni modo, ecco versione cartacea e versione kindle della mia ultima fatica. Come sempre prezzi popolari, margine di guadagno ridotto a poco più di zero. E la versione elettronica ve la posso anche regalare, basta che chiedete.
Ma in tutto ciò, che roba è? Com'è? Di certo inferiore al secondo, che reputo il migliore e che difficilmente riuscirò ad eguagliare; è stato frutto di una combinazione eccezionalmente favorevole data dall'abbondanza di voglia di scrivere, tempo per scrivere e cose da scrivere. Molto meglio del terzo, al quale posso dare solo l'unico merito di fare da lower bound: qualunque cagata tirerò fuori, potrò sempre dirmi che ho fatto di peggio. Diciamo ai livelli del primo, scritto un po' meglio ma meno convincente a livello di contenuti, a meno che qualcuno trovi estremamente interessante il Messico o i cazzi miei.
Ormai è fatta; di sicuro il mio prossimo libro sarà così, un diario di viaggio. Non ho più voglia di inventarmi un cazzo. Però devo cercare di prendere più appunti e scriverli meglio, sennò è tutto un cazzo. Questo mi fa pensare a quella cazzo di frase che ho letto su Facebook che dice che puoi mettere la parola cazzo dove cazzo ti pare, in qualunque cazzo di frase e la frase avrà comunque qualche cazzo di significato. O qualcosa del genere, sti cazzi.
Que viva México, cabrones.

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