martedì 31 dicembre 2013

IL TACCUINO DI HÉCTOR BELASCOARÀN, di P.I. Taibo II

Altri tre romanzi di Paco Ignacio Taibo II, con protagonista il mitico Héctor Belascoarán Shayne, che ha accusato pesantemente la sua rinascita dopo il triste finale di No habrá final feliz. Ad esclusione del primo, questa volta Héctor va in trasferta, prima nelle zone di frontiera con gli Stati Uniti e poi nel sud. Variabile non di poco conto, si nota il disagio e il senso di smarrimento dovuto al muoversi lontano dal suo amato Distrito Federal.
E in effetti devo dire che manca qualcosa rispetto agli altri. Senza Città del Messico e senza i suoi improbabili coinquilini - l'ingegnere Javier Villarreal, l'idraulico Gilberto Gómez Letras e il tappezziere Carlos Vargas - sembra fuori posto. Le storie sono avvincenti, come sempre, con situazioni sempre al limite dell'assurdo, soprattutto l'ultima in cui Belascoarán per scagionare un uomo dall'accusa di omicidio deve trovare il defunto, che in realtà è vivo e lo sanno tutti. Però che volete farci, sono una persona abitudinaria e quindi sono rimasto un po' spiazzato. Mi affeziono molto ai luoghi e ai personaggi. Ciò non toglie che rimanga comunque un ottimo libro e che non vedo l'ora di completare la saga comprando l'ultimo volume, che raccoglie i primi racconti.

da Amorosos Fantasmas
A volte sembra che un uomo sia assorto nei suoi pensieri anche se non è vero. Il vuoto è una cosa facile da simulare, anche senza volere. Gli idioti, i poeti laureati, i ministri praticano questa attività costantemente.
Se voleva delle risposte le avrebbe dovute cercare là fuori, come sempre, in una città che a volte era sua; ma dove nella maggior parte dei casi si sentiva, anche lui, un fantasma senza amori a cui aggrapparsi.
In altri tempi, quando Héctor Belascoaran era forse più confuso, ma ancora pieno delle più innocenti speranze, gli piaceva restare così, immerso nelle luci della città, pensando che erano l'unico festival di fuochi artificiali collettivo e gratuito di cui godevano gli abitanti del mostro.
da Sueños de frontera
Sembrava più sicuro di sé. Forse era il fatto di aver lasciato lo scenario di sempre, la piovosa Città del Messico, a dargli quell'aria strana, quella parvenza di sicurezza. Qui, in queste inospitali terre del Nord, nessuno poteva sapere che al volante della jeep c'era un coglione. Lui lo sapeva ma poteva fingere di ignorarlo. Poteva recitare un po'.
Era uno straniero qui? Poco più di quanto non fosse nel Distrito Federal? Definizione di straniero: chi si sente estraneo, chi è convinto che i tacos che consuma all'angolo di casa sua siano necessariamente migliori di quelli che si possono mangiare qui, chi quando si sveglia a mezzanotte sente uno strano vuoto, una sensazione di non appartenenza al paesaggio che vede fuori dalla finestra. Be', allora lui era uno straniero anche adesso. Nono riconosceva il paesaggio, non si sentiva a casa davanti al restaurato Messico di frontiera.
Siccome aveva tutta la giornata davanti, andò a rimuginare nella piazzetta della cattedrale, dove la statua di un conquistatore irresponsabile indicava con il dito un punto per terra dicendo: "Qui bisogna fondare una città". La giustizia della storia era incarnata dalle cacche di piccioni che ricoprivano la statua.
da Desvanecidos difuntos
Si sentiva fuori luogo mentre la brezza fredda della sierra eliminava le ultime tracce di calura. Ma non era nuovo a questa sensazione. Lui era sempre fuori luogo. Non c'erano scenari che potesse considerare suoi, costruiti a sua misura, ma solo scene in prestito per un attore disperato, scaraventato al centro del palcoscenico nel bel mezzo dello spettacolo, senza un copione in mano, senza vocazione e senza capacità di improvvisare.
Non era possibile starsene in santa pace in un bar con un uomo incatenato. Ormai il Messico non era più quello di una volta, c'erano limiti all'assurdo.
Voto: 4,5/5

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