giovedì 2 gennaio 2014

FABRIZIO DE ANDRÉ. AMICO FRAGILE, di C.G. Romana

Vai a Genova, vai a Via del Campo, vai nel museo dedicato ai cantautori genovesi, con qualcosa in mano devi tornare. Come nel rugby: quando sei nella metà campo avversaria, devi tornare con qualche punto in saccoccia, altrimenti hai perso tempo. Sulla discografia ci volevo lavorare con calma, sfruttando Natale e compleanno, così ho preso una biografia, visto che di De André non ne so poi molto. Prima di leggere questo libro, pensando a De André escludendo le sue canzoni, mi veniva in mente solo una vignetta di Andrea Pazienza, con Pertini che diceva: Sono addolorato per De Andrè, quel bravo canzonettista. Di lui mi piacevano in particolare “Re Carlo torna dalla Battaglia di Poitiers”, la famosa “Marinella” e “Stasera mi butto". Mi butto con te.
Di biografie o presunte tali ce n'erano un'infinità, la maggior parte delle quali ovviamente si spacciavano per la migliore oppure l'ufficiale o la più completa o la più bella; ho scelto basandomi sul numero di pagine, su quel che diceva la quarta di copertina cercando di filtrare la propaganda e soprattutto una che non incentrasse il tutto sulle canzoni; alla fine ho scelto bene. Un libro ben fatto, che ripercorre tutta la vita di Fabrizio de André e grazie al quale è possibile collocare le sue canzoni nel giusto contesto. Spesso si associa un artista esclusivamente con le sue opere, dimenticandosi che esiste anche una figura privata, spesso non meno interessante. Penso ad esempio ad Hugo Pratt, oppure a Giorgio Canali, tanto per dirne due di cui ho letto le biografie. Per me, anzi, è ancora più interessante scoprire cosa si cela dietro le canzoni, o i libri, o i fumetti.
Affinché sia interessante, una biografia deve avere del buon materiale, e di solito con personaggi di un certo spessore la cosa vien da sé; e poi serve qualcuno che sia bravo a raccontare e l'autore qui ha fatto un ottimo lavoro. L'ho già detto tempo fa, ma come ben sapete repetita iuvant.
A me pare che Genova abbia la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuto nei suoi caruggi, gli esclusi che avrei ritrovato in Sardegna ma che ho conosciuto per la prima volta nelle riserve della città vecchia, le "graziose" di via del Campo e i balordi che potrebbero anche dar via la loro madre, per mangiare. I fiori che sbocciano dal letame. I senzadio per i quali chissà che Dio non abbia un piccolo ghetto ben protetto, nel suo paradiso, sempre pronto ad accoglierli. 
E allora scoprii che, se prendevo una chitarra, la suonavo meglio di tutti, e stupivo gli altri più che con un tema in classe. Ed ero esonerato dai loro cerimoniali, perché a un musicista nessuno rimprovera di essere un tipo ruvido, chiuso in se stesso, o di mangiare con le mani. A un avvocato o a un insegnante, sì.
Proletario io? Né falso, né vero. A parte che spesso mi sono trovato in bolletta, perché non c'è gusto migliore che spendere i propri soldi, tutti i propri soldi, per bagordare e viaggiare con gli amici. E d'altronde quella di proletario è pur sempre un'etichetta, sicché la rifiuterei in ogni caso, come tutte le altre etichette che via via hanno provato ad appiccicarmi addosso - di comunista, di democristiano, di socialista, di borghese, perfino di fascista.
Ma sta di fatto che se non trovo un'intuizione potente sulla quale riflettere, non riesco a scrivere. E in questo caso l'idea è stata parlare della stupidità umana, italiana in particolare, compresa la mia personale. E poi di immaginare una barca che fa acqua da tutte le parti, tanto è carica di oggetti di consumo, di cianfrusaglie inutili, di status symbol idioti. Finisce che chi ci vive dentro si accorge che il naufragio è vicino, ma on si muove, non fa niente per gettare a mare l'inutile e il superfluo, perché ormai quelle paccottiglie le considera necessarie.
Voto: 5/5

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