venerdì 3 gennaio 2014

E MORÌ CON UN FELAFEL IN MANO, di J. Birmingham

Dopo aver visto il film, un ottimo film, ho scoperto che era tratto da un libro, anzi che il film era solo una parte del libro, solo tre dei non so quanti appartamenti in cui il protagonista abita. Così ho comprato il libro. In realtà non è stato proprio così lineare, il film l'ho visto almeno cinque anni fa. Un libro dai risvolti contrastanti. Come inizio ci ho messo del mio. Su Wikipedia diceva che il film si soffermava sulle abitazioni numero 47,48,49 e così mi aspettavo un volume grosso quanto il capitale di Karl Marx. Invece, libretto di duecento pagine scarse. L'ho sempre detto che l'aspettativa ti fotte.
Poi ho iniziato a leggere, ma non ha convinto del tutto. Carino, poi l'ambientazione australiana, principalmente Brisbane, ha quel suo fascino esotico, ma verso la fine sono stato felice del fatto che non fosse il mattone che mi aspettavo. Diventa un po' ripetitivo, soprattutto perché in tutte le case la situazione è quella di casi umani di vario genere e tonnellate di immondizia che si accumulano finché i protagonisti cambiano casa per mancanza di spazio. Poi, ma anche qui è un problema di aspettativa, le storie non sono in ordine cronologico. Non ci si capisce un cazzo, case e personaggi ricorrono continuamente in un delirio assoluto. Diciamo che è un po' come il cioccolato bianco: non bisogna mangiarne troppo tutto insieme perché stucca.
Alla fine accettammo questo tizio per disperazione. Non che avesse molti punti a suo vantaggio, non possedeva nemmeno un forno a microonde o altri elettrodomestici, e comunque adesso sia lui che il felafel erano lì, tutti e due freddi. Il nostro primo coinquilino morto. Almeno però ci aveva dato un anticipo.
Era durante serate come quelle che potevi finire con l'illuderti che il dividere una casa con altre persone, cosa che in realtà ha soltanto a che vedere con ristrettezze economiche e provazioni, potesse in realtà essere un qualcosa di diverso: una sorta di quasi ovvia progenie dell'idea di "comune".
Il problema non era tanto il fatto che fosse gay (avevamo sì votato una legge che vietava i baci e le pomiciate nel soggiorno, ma quella valeva per qualsiasi sesso). Il problema era che non ce ne importava nulla che fosse gay. Così dicevamo queste cose apparentemente brutali che lui captava col suo sofisticatissimo radar omosessuale. Per esempio se dicevamo: "Che ne diresti di pulire la doccia, Dirk?" secondo il suo decodificatore significava: "Voi disgustosi piccoli banditi anali dovreste essere tutti inchiodati a un palo".
Decisi di limitarmi col fumo quando mi addormentai durante una lezione di cinese al mattino presto, e mi risvegliai di soprassalto in una classe piena di persone che parlavano cantonese. Mi venne un super attacco di panico, pensai di aver fumato così tanto da aver perso la capacità di comprendere il linguaggio parlato.
L'unica verità sui maschi, l'unica verità vera, è che a noi, ai maschi, non ce ne importa nulla di nulla. È il nostro piccolo segreto. Chiedete a qualsiasi ragazza che abbia vissuto con un branco di noi. Non laviamo mai i piatti, scorreggiamo quando siamo in presenza di persone educate, e non ha assolutamente senso scaricare i vostri problemi su di noi perché tutto ciò che vogliamo, in verità, è essere nutriti con regolarità e avere qualcuno con cui giocare.
Strillò poi che l'unica cosa che lo avrebbe salvato sarebbe stata una respirazione bocca a bocca. Gli risposi: "Mi dispiace amico. Per quel che mi riguarda sei un uomo morto."
Voto: 3,5/5

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