Un insieme di sensazioni positive, dovute all'unione di elementi quali un panino con salsiccia, peperoni, ketchup e maionese, una Peroni da 66 che bevuta abbastanza velocemente a causa del poco tempo e della sete ha comportato una serie impressionante di rutti, un'ottima compagnia e il posto a sedere hanno reso il concerto di Franco Battiato qualcosa di speciale.
Guardavo il cielo nuvoloso e pensavo, mentre Battiato cantava e noi stavamo lì ad ascoltare a tutto il resto del mondo, a chi era nella propria casa a non fare un cazzo, a chi stava guidando sul raccordo, a chi dormiva rigirandosi nel letto. Sarà l'effetto di frasi come Nelle mie orbite si scontrano tribù di sub-urbani, di amminoacidi, oppure la linea orizzontale
ci spinge verso la materia,
quella verticale verso lo spirito. Con le palpebre chiuse
s'intravede un chiarore
che con il tempo e ci vuole pazienza,
si apre allo sguardo interiore:
inneres auge, das innere auge.
Il maestro ci ha anche allietato con due simpatici aneddoti. Uno è di quando a Venezia quattro curdi si congratularono con lui per la canzone Le strade dell'Est, in cui parla del rivoluzionario curdo Mustafà Mullah Barazani. L'altro è una giornalista che, riferendosi alla cura, gli ha detto: è molto bella quella sua canzone che fa "Vagavo per i campi di tennis".
Ma alla fine ero triste. Triste, perché pensavo che Franco Battiato ha 67 anni e da oltre quaranta ci regala capolavori come "E ti vengo a cercare" e "Bandiera Bianca". Chi ci sarà tra quarant'anni a riempire gli stadi, a raccogliere migliaia di persone? Anche musicalmente il panorama di questo paese è desolante.
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