venerdì 12 luglio 2013

PLAYER ONE, di E. Cline

Ho notato che ultimamente non mi sono soffermato molto sulle trame dei libri; c'è da dire che una trama vera e propria di fatto non c'era negli ultimi libri. Ma uno dei libri più belli che abbia letto negli ultimi 28 anni non poteva non averla. Ci troviamo nel futuro, un futuro cupo e desolato, senza speranza, in cui la gente trova rifugio nella realtà virtuale che per molti, se non tutti, ha sostituito la vita vera. Il grande e folle ideatore di OASIS, il nome dell'onnipotente software di simulazione, morendo lascia in eredità tutto, quindi anche le sue immense ricchezze e la proprietà di OASIS, a chi troverà per primo un Easter Egg che ha inserito all'interno del più grande gioco del mondo. Seguiamo quindi le avventure di Wade, un ragazzo che cercherà di raggiungere per primo il traguardo e per farlo, come molti altri, dovrà conoscere alla perfezione tutto della vita di James Halliday, il suddetto geniale creatore di OASIS, ed in particolare le sue manie: la cultura pop anni 80, i videogiochi, i film, i giochi di ruolo di quegli anni.
Detto così non rende neanche un po'. Ma considerate che è un libro in cui il protagonista vive in una realtà virtuale e all'interno di essa ad esempio gioca a videogiochi. Dopo che nel libro Wade si scollega da OASIS dopo 16 ore di fila, prima ti rendi conto che quello che hai letto nelle due ore precedenti era tutto finto, in realtà Wade non si è mosso da dove si trovava. Poi ti rendi conto che anche questo non è vero, e sei tu che stai leggendo di uno che sta giocando a un videogioco. Una doppia immersione completamente avvolgente.
E so che ancora non basta. Ma che vi devo dire, ho perso tre giorni di vita leggendolo tutto d'un fiato, non avevo neanche la voglia di fermarmi per appuntarmi le citazioni. L'idea è grandiosa, colossale. La storia ti prende e non ti lascia andare. Certo, se non si è dentro al mondo dei videogiochi, di Dungeons  & Dragons, se non si conoscono alcuni libri o film chiave potrebbe non piacere il continuo e incessante rimando a questi. Peggio ancora se non piacciono questi argomenti. Immagino che se i riferimenti fossero stati fatti al curling e al lavoro a maglia almeno per me non sarebbe stato così interessante. Ma d'altra parte doveva necessariamente essere così. Nel futuro dipintoci da Cline dominato dal mondo virtuale, il posto di riguardo lo devono avere le rappresentazioni fittizie della realtà: videogiochi, film... Vabbè, ci rinuncio. In effetti spiegarlo non è così semplice, e neanche spiegare perché l'ho letto come se non avessi un domani. 
Dopo aver scritto righe su righe senza costrutto, per concludere vi lascio il messaggio. Nonostante la visione apocalittica del futuro e l'adorazione per i videogiochi, nonostante tutto alla fine il caro Cline ci ricorda che per quanto belli non sostituiscono la realtà. Sebbene siano una cosa fantastica, che possono far sognare, non devono essere un sostituto della realtà, per quanto possa fare schifo. D'altra parte, riportando una frase di Groucho Marx citata nel libro, Non è che vada pazzo per la realtà, ma rimane l'unico posto dove mangiare un pasto decente.
Non saprei, forse avete vissuto un'esperienza diversa dalla mia. Ma, per quanto mi riguarda, diventare un essere umano adulto sul pianeta Terra durante il Ventunesimo secolo è stato un vero e proprio calcio nei denti. Esistenzialmente parlando.
Il capitalismo avanzava a piccoli passi, senza che dovessi interagire faccia a faccia con un altro essere umano.
Avevo buttato migliaia di crediti, avevo perso una settimana di lavoro ed ero sul punto di abbandonare completamente la mia ricerca dell'Egg, quando mi ero ritrovato di fronte alla consapevolezza che il sesso virtuale, per quanto fosse realistico, non era altro che masturbazione sdoganata e assisitita dal computer. In fin dei conti, ero sempre un ragazzo vergine, solo, in una stanza buia, che si sbatteva un robot ben lubrificato. Perciò mi sbarazzai della BAAP e tornai a menarmelo alla vecchia maniera.
Avendo compiuto  diciott'anni, potevo votare sia per le elezioni di OASIS sia per quelle del governo degli Stati Uniti. Di queste ultime non mi preoccupai perché non ne vedevo il senso. A parte il nome, il Paese, un tempo glorioso, in cui ero nato non aveva conservato nulla di ciò che era stato. Non importava chi ci fosse al governo: era solo gente che si limitava a risistemare le sedie da sdraio sul Titanic, e questo lo sapevano tutti.
Nello stato in cui mi trovavo, anche il suo piglio  loquace computerizzato mi sarebbe stato di conforto. Ma non ci volle molto prima che Max esaurisse le risposte preprogrammate e, quando cominciò a ripetersi, l'illusione di dialogare con un'altra persona andò in mille pezzi e mi sentii ancora più solo. Sai di esserti incasinato la vita quando tutto il tuo mondo finisce in merda e l'unica persona con cui puoi parlare è il tuo system agent software.
Voto:5/5

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