mercoledì 14 marzo 2012

NON BUTTIAMOCI GIÙ, di N. Hornby

Dopo le alte vette letterarie raggiunte con Murakami, torniamo a volare bassi. Dopo Febbre a 90' e Alta Fedeltà, un piccolo tonfo per Nick Horby. La domanda ovviamente è: l'eccezione sono i primi due o questo? Propenderei per la seconda ipotesi, perché non è un libro da buttare. Solo che non spicca il volo.
Proprio come i quattro assurdi protagonisti. Martin, un matrimonio e una carriera finita dopo essere andato a letto con una quindicenne; JJ, un ragazzo americano che ha perso le unche cose che contavano per lui, la sua ragazza e il suo gruppo musicale; Maureen, una signora cinquantenne che ha passato tutta la vita ad assistere il figlio disabile; Jess, una sedicenne sciroccata. I quattro pazzi si ritrovano sulla cima di un palazzo la notte di capodanno più o meno decisi a farla finita. Dal titolo avrete già capito che questo non succederà. 
Forse questo mi ha un po' deluso. Cioè, se fossero morti mi sarebbe dispiaciuto, ma il rinunciare al suicidio perché hanno trovato ragioni per vivere mi sembra un finale troppo scontato. Eppure era partito bene, mai mi sarei immaginato che il buttarsi giù fosse in senso letterale. Ma forse sono io ad essere un po' troppo esigente, ultimamente. Non è un libro malvagio, tutto sommato; si legge con interesse e poi mi piace il modo di scrivere di Horby, un tono confidenziale che ti mette a tuo agio e la giusta dose di ironia.
Diciamo che Hornby ha fatto di meglio, ma non buttiamoci giù.
Una batosta dopo l'altra finché non reggi più, e allora te ne vai sulla station wagon di famiglia sino al più vicino autosilo con a bordo un bel tubo di gomma. Non è che è stata una scelta sensata? Non è che sul verbale il coroner ci dovrebbe aver scritto: "Si è tolto la vita dopo un sereno e scrupoloso esame del cazzuto inferno in cui si era trasformata la medesima?"
Problema della mia generazione è che ci sentiamo tutti geni del cazzo. Far qualcosa per noi non è abbastanza, e neanche vendere qualcosa, o insegnare qualcosa o solamente combinare qualcosa: no, noi dobbiamo essere qualcosa.
In vita mia sono stata in intimità con un uomo solo, e con quell'uomo sono stata in intimità una volta sola, e quell'unica volta di tutta la mia vita che sono stata in intimità ha fatto nascere Matty. Quante erano le probabilità, eh? Una su un milione? Una su dieci milioni? Non so. Ma è naturale che anche una su dieci milioni vuol dire che nel mondo ci sono un sacco di donne come me.
È sempre molto toccante, quel suo insistere con la prima plurale. Ne ho sentite d'ogni: "Da quando siamo usciti di prigione..." "Da quando abbiamo fatto il pasticcetto con quella ragazzina..." Se pensavo a un motivo di rimpianto qualora mi fossi buttato davvero, era che non avrei mai potuto sentire Theo dirmi: "Da quando ci siamo suicidati..." Oppure: "Dal nostro funerale..."
Dunque, ma come fa la gente a non dire parolacce? Come è possibile? In un discorso ci sono tutte 'ste pause, dove per forza devi metterci un "cazzo". Ve lo dico io chi sono le persone più ammirevoli del mondo: i giornalisti dei telegiornali. se facessi io quel mestiere sarebbe tutto un  "E quei figlidiputtana hanno fatto schiantare quell'aereo del cazzo contro le Torri Gemelle"
Una cosa che avevo imparato nell'ultimo anno era che non c'era niente che non puoi mandare a culo, se ti impegni abbastanza.
A me piace sapere che esistono dei posti grandi e senza vetrine dove a nessuno gliene frega un cazzo. Devi essere sicura di te stessa per entrare nei posti più piccoli, con i clienti abituali, le piccole librerie e i negozietti di dischi e i ristorantini e i caffè.
Voto: 3,5/5

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