lunedì 27 maggio 2013

The sweetest thing

In inglese la differenza è quasi nulla. Fame. Shame. Il sottile confine tra l'inferno è il paradiso. L'entrare nella storia usando due porte diverse.
Dopo settimane di lenta agonia, il gran giorno è arrivato. Il momento è arrivato. Il derby più importante di sempre è iniziato. Il tempo scorre lento, lo 0-0 sembra poter rimanere immutabile nei decenni, quasi ci si dimentica che solo una squadra sarebbe potuta uscire a testa alta dal campo. Partita non entusiasmante, ma la tensione non accenna a diminuire. Qualche occasione di qua, qualche altra di là, ma come si poteva immaginare, la paura è troppa. Primo tempo finito, parità, una parità che dovrà essere infranta in qualche modo. E scocca il minuto 71.
Quello che Mauri preme triangolo per Candreva sulla destra, Candreva preme due volte cerchio, Lobont smanaccia facendo fuori anche il difensore e poi la palla rimane lì davanti e Lulic torcendosi in modo innaturale appoggia dentro. C'è sempre quel riflesso condizionato, una frazione di secondo spesa per controllare che non ci siano fischi sospetti o bandierine alzate; ma è tutto a posto, Lazio in vantaggio. Mancano venti minuti. Neanche il tempo di riprendersi dal gol che la Roma prende la traversa. L'unico tiro in porta decente che hanno fatto, sarebbe stato ingiusto. Ed il mondo è ingiusto, ma non stavolta. 
La durata percepita di ogni minuto aumenta esponenzialmente. Nonostante la Lazio stia giocando meglio è sempre un derby. Ogni secondo pesa come un macigno. Anche su  rimessa laterale nostra in attacco vedi una possibile beffa. Raisport non aiuta, mandando in onda un Minispot al minuto 91. Ma alla fine, nonostante tutto, fischio finale; è finita. La Partita, con la P maiuscola, è finita. Lazio 1, Roma niente. Niente in tutti i sensi. Niente gol, niente coppa, niente qualificazione all'Europa League, niente derby vinto, niente stella d'argento. Niente.
Niente sarà più come prima. Ho sempre detto che è una frase del cazzo. Però... però stavolta è inattaccabile. Mai tanti destini si sono incrociati in un singolo evento. Mai evento sembra essere così irripetibile. Non c'è redenzione, non c'è salvezza. Solo eterna dannazione. Non si esulta per la coppa, non solo almeno. Si esulta perché la Roma è sconfitta, è al tappeto. Per la prima volta, non è solo una questione d'onore. Stavolta ci sarà una coccarda sul petto a ricordarlo, una riga dell'albo d'oro. Quattro o cinque derby persi di fila sono buoni per le statistiche, non conta nulla se non l'ultimo perché non c'è niente in palio, l'onore lo rimetti in gioco ogni volta. Questa volta invece, è come un diamante. Per sempre. Tutti ne sono consapevoli, grandi e piccini.
Lo ammetto, non posso non ammirare Francesco Totti in quanto calciatore. Non sono uno di quelli che non riconosce il valore di un avversario. Sono invidioso che la Lazio non abbia un simbolo come Francesco Totti. Ma proprio per questo, lo odio e lo detesto in quanto romanista, in quanto simbolo della Roma e posso solo godere delle sue lacrime. Ha aggiunto un altro record alla sua straordinaria carriera: il primo capitano della Roma che consegna un trofeo alla Lazio. E chiamatemi stronzo insensibile, ma vedere sua figlia che piange può solo farmi piacere. Sei una bambina, ma sei della Roma. E devi piangere, questo è il giorno in cui devi piangere; è inutile nascondersi, parte della gioia è anche il dolore dell'avversario. E lo sanno bene anche loro, che non soffrono per la loro sconfitta ma per la nostra vittoria, alimentando questo circolo vizioso cui nessun tifoso può sfuggire. Poi ci sono quelli che mentre c'era chi moriva allo stadio o davanti la TV pubblicava stronzate su Facebook. Quelli che due anni fa ti prendevano per il culo dopo un derby di campionato perso. Quelli che tirano fuori le foto di Totti ogni due o tre anni. Non meritate niente, neanche un briciolo di rispetto, che invece meritano i tifosi onesti, quelli veri, che mi triturano le palle quando vincono ma non si nascondono dopo una sconfitta. Anche dopo la più amara. Comunque, è andata. La Roma avrà un nuovo inno dall'anno prossimo, "Piccola stella senza cielo".
Ma la cosa che conta di più è che la Lazio, è in trionfo. Meritatamente, per quanto visto in campo. Ha fatto il suo compito, è stata squadra e non ha concesso nulla. Probabilmente non sarebbe servito molto per metterla un po' in difficoltà, alla luce del difficile finale di stagione, ma la Roma di ieri è stata nulla. Si avvera la profezia contenuta nell'inno: "A Roma la Lazio / c'è solo la Lazio". Questa Lazio è nella storia. Sarà la Lazio di Lotito, che immeritatamente aggiunge un'altra tacca al calcio del suo fucile. La Lazio di Petkovic, che appena preso quest'estate era stato accolto con lo stesso entusiasmo e le aspettative di quando al fantacalcio ti compri Pinga come sesto attaccante. Non è un esempio casuale, mi è successo nella stagione 2005/2006.  Ci tengo a precisare che ho sempre avuto fiducia in lui. In Petkovic, non in Pinga. Senza motivo, ma ce l'avevo. E inaspettatamente il tecnico destinato a gloria imperitura, accanto a Maestrelli e Eriksson, sarà lui. La Lazio composta dai magnifici undici scesi in campo: Marchetti, Konko, Cana, Biava, Radu, Ledesma, Candreva, Hernanes, Onazi, Lulic, Klose. E Mauri, Gonzales e Ciani entrati dalla panchina. E tutti gli altri, con una menzione particolare a Juan Pablo Carrizo, che alla fine se non ci salvava lui il culo contro il Siena ai rigori non stavamo qui. La battaglia è vinta, è stata aperta una cicatrice che non si rimarginerà mai, come quella inferta a Frodo a Collevento dal capo dei Nazgûl. Vinta la partita, vinta la coppa, salvata la stagione.  Non capita spesso di vincere qualcosa. Di solito da queste parti si accarezza il sogno per un po' e poi svanisce nel nulla. Ma questa volta non è svanito, è nelle nostre mani. Questi momenti rimarranno indelebili, mai dimenticheremo la felicità ottenuta. Mai dimenticheremo Federico Marchetti a torso nudo che aggrappato al cancello del ristorante scandisce i cori ai tifosi, come ad esempio:
VOLEVANO VINCE MA
VOLEVANO VINCE MA
SE SO ATTACCATI AR CAZZO
SE SO ATTACCATI AR CAZZO
Inutile fare troppi discorsi, questa finale è e probabilmente sarà la partita più importante della nostra vita calcistica ed è stata vinta. Ci accompagnerà per sempre. Ed ogni volta, ripensando al momento in cui Lulic ha segnato, ripensando al fischio finale, ripensando ai festeggiamenti probabilmente non ci sarà l'urlo liberatorio, l'esultanza sfrenata, cose che necessitano della scarica di adrenalina iniettata nelle vene dall'evento in diretta. Ma ci sarà un sorriso sereno e rilassato. Qualunque cosa potranno dire in futuro, non conterà un cazzo perché abbiamo vinto questa coppa. E sorrideremo. C'è chi vince scudetti e coppe dei campioni e magari penserà che la stiamo facendo più grande di quello che è. Ma il nostro destino è questo, esaltarci per un niente ed esaltarci ancora di più per un misero trofeo, che per noi rappresenta tutto. E non lo cambierei mai. 
Roma, 26/05/2013 - Finale di Coppa Italia
Roma-Lazio 0-1, 71' Lulic

Nessun commento:

Posta un commento