giovedì 30 maggio 2013

DANCE DANCE DANCE, di H. Murakami

Partiamo dalle cose facili. Il libro è meraviglioso. Era ogni volta difficile fermare la lettura, anche se le lancette segnavano impietosamente le due e mezza di notte. Però non può finire così. Non entro nei dettagli, ovviamente. Ma come per il Segno della Pecora, il finale lascia un po' basiti.
La cosa brutta è che te ne rendi conto. Ti ritrovi che c'è ancora un casino, tutto aggrovigliato, contorto, e mancano venti pagine. E capisci che non c'è speranza di capire tutto. E speri che si riesca a capire almeno qualcosa.

Non so se è un'usanza tipica giapponese, oppure è Murakami che dopo un po' non sa che scrivere, ma è la terza volta su tre. In Norwegian Wood il finale rimane sospeso ma non ci sono punti oscuri, ma qui sebbene ci sia un finale tante cose rimangono senza spiegazione. Non si fa, non si fa.
A parte questo, che può anche piacere, è un grande libro. Da leggere assolutamente dopo il Segno della Pecora, perché ne è il naturale seguito e perché ci sono spesso dei riferimenti che non sono fondamentali per la comprensione ma male non fanno. Ancora una volta il misterioso protagonista si trova immerso in un contesto più grande di lui, costantemente a metà tra la realtà e il sogno. Una realtà che il protagonista non ama, reso insofferente dalle dinamiche capitaliste. Più volte ricorre la scena in cui le spese più assurde sono incentivate per detrarle dalle tasse. Ma la barriera tra la realtà e il mondo onirico, pervaso da presentimenti di morte, è molto labile.
Egli vaga tra Sapporo, Tokyo e le Hawaii alla ricerca di qualcosa. E non è che non vi dico cosa per non rovinarvi la sorpresa. Non si sa. Non lo sa cosa cerca, ma comunque cerca, ricostruendo i collegamenti, le interconnessioni tra le cose. Da questo punto di vista è un emulo, serio e con gli occhi a mandorla, di Dirk Gently. Ma non sa cosa sta cercando, non sa perché lo sta cercando. Sa solo che deve andare avanti, senza avere paura e continuando a danzare.
Proprio come quando uno non riconosce la propria voce incisa su un registratore, mi chiedevo sempre se l'immagine che percepivo di me stesso non fosse un'immagine distorta che mi ero fabbricato su misura.
E poi viviamo in una società capitalistica avanzata, no? dove lo spreco è un valore sommo. I politici lo chiamano raffinamento del mercato interno. Io lo chiamo inutile spreco. Ma anche se ci sono divergenze d'opinione, questa è la società in cui viviamo.
Ma l'onestà ha qualcosa a che fare col sesso? mi chiesi. La risposta la conoscevo già: nelle cose di sesso l'onestà è stimolante come guardare una pietra ricoperta di muschio in un giardino deserto.
Il capitale, potenziato e parcellizzato, attraverso un processo di sublimazione, è diventato pensiero, idea. Religione, addirittura. Le persone venerano il dinamismo intrinseco al capitale, e ne praticano il culto. Il prezzo del terreno a Tokyo e una Porsche fiammante sono le sue icone. Sono gli unici miti che ci restano.
Pensai a Mei. Che adesso si trovava in un luogo terribilmente freddo. Ancora senza identità, senza nessuno che venisse a reclamare il suo corpo per portarselo via. Mei che non avrebbe mai più sentito Bob Dylan e i Dire Straits. Mentre io stavo per andarmene alle Hawaii. Sul conto spese di un altro, che avrebbe scaricato tutto dalle tasse. È proprio così che deve andare il mondo?
Era solo sesso. Un'erezione, una penetrazione, un'eiaculazione e passa la paura.
Il buio, qualunque sia la sua origine, è sempre qualcosa di terrificante. Il buio può fagocitare, alterare, distruggere, annullare. Chi può conservare qualsiasi certezza al buio? Cosa mai può spiegare l'esistenza delle tenebre? Tutto, nel buio, può assumere le forme più strane, trasformarsi, svanire sotto il velo del nulla, che è l'unica logica delle tenebre.
Voto: 4,5/5

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