mercoledì 1 maggio 2013

IL PONTE SULLA DRINA, di I. Andrić

Niente da fare, infognato come non mai in letture infime. Premio Nobel, scrittore preclaro, dite quello che vi pare. Sto libro di base è una palla. Eppure sarebbe potuto essere diversamente.

La storia, lunga come solo le cose lunghe sanno essere, parte dal Cinquecento con la costruzione del ponte e arriva fino alla Prima Guerra Mondiale. E parliamo di posti che ne hanno viste tante, dai turchi agli austriaci al nazionalismo serbo agli ebrei sefarditi. Un crogiuolo di razze, per dirla con un'espressione che riempie la bocca come poche. Razze e religioni, non dimentichiamolo. Un pentolone sempre pronto a scoppiare. Forse la grandezza di questo libro consiste proprio nell'aver reso pallosissima una storia che ha avuto pochi attimi di tranquillità.
Paradossalmente, il libro ti vola via perché arrivato verso la fine ti sembra che non è successo un cazzo. Ed in effetti è così. L'unico evento di rilievo, che scuote la routine, avviene nel penultimo capitolo, quando c'è la guerra e il ponte viene bombardato.
Considerando che sono state necessarie una ventina di pagine solo per descrivere com'è fatto il ponte, la lettura è stata insolitamente spedita. Come detto, non è l'argomento di per sé, ma questo modo di scrivere lento e descrittivo che ti porta quasi alla rassegnazione, finché non te ne fai una ragione e aspetti le trenta pagine che passeranno prima che succeda qualcosa di nuovo.
In alto, sul parapetto, restavano sedimenti di fango, che ora s'erano seccati, screpolandosi al sole, e sulla "porta" s'era fermata e ammassata una grande quantità di ramoscelli e di depositi fluviali, ma tutto questo non mutava affatto l'aspetto del ponte che, unico in mezzo a ogni altra cosa, aveva sopportato indenne l'alluvione e ne era uscito immutato.
E così sulla porta, in mezzo al cielo, al fiume e alle montagne, una generazione dopo l'altra apprendeva a non compiangere oltre misura ciò che la torbida acqua si portava via. In tutti penetrava la spontanea filosofia della cittadina: che la vita è un miracolo impenetrabile, perché si consuma e si disfà incessantemente, eppure dura e sta salda "come il ponte sulla Drina".
A che servivano tutti questi clamori, quando ecco che arrivava un tempo in cui si precipitava tanto in basso che non si poteva morire né vivere, ma si imputridiva come un palo sulla terra e a tutti si apparteneva fuorché a se stessi.
Per una legge di natura la gente s'opponeva a tutte le novità, ma non spingeva questa sua opposizione fino alle estreme conseguenze, dato che, per la maggioranza, la vita è più importante e più rapida delle forme nelle quali si vive.
Voto: 2/5

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