sabato 12 maggio 2012

Homme libre, toujours tu chériras la mer!

Io adoro il mare. E tutti fanno la faccia stupita quando vedono che non mi fa impazzire andare al mare. Ma sono due cose diverse. Andare in spiaggia, prendere il sole, farsi il bagno sono un aspetto legato allo svago, se vogliamo. E poi odio i posti affollati, mi sentirei male solo a pensare a una spiaggia invasa da migliaia di vacanzieri qualunquisti. Io mi riferisco all'essenza ontologica del mare.
Non potete neanche immaginare da quanto tempo speravo di riuscire ad infilare ontologia o gnoseologia in un discorso.

A me piace il mare in quanto elemento, mi piace vedere la città che finisce e inizia la sconfinata distesa d'acqua. Ovviamente mi piacciono molto le isole e ovviamente impazzisco quando mi trovo a Venezia. A Lima, un giorno, dopo aver camminato per Miraflores, abbiamo raggiunto Plaza Centro America e poco più avanti abbiamo visto per la prima volta l'Oceano Pacifico ed è stata un'emozione immensa.
La parola che associo istantaneamente al mare è libertà. Una città senza mare ha qualcosa che gli manca. Per non parlare di uno stato. Il sapere che attorno a questa distesa di case che mi circonda ci sono magari prati, campagne, montagne, e poi altre distese di case mi fa sentire circondato. Non che debba risiedere permanentemente in riva al mare, ma il sapere che c'è, qualora ne avessi bisogno, mi fa stare meglio.
Mi fa stare bene il solo sentire l'odore del mare trasportato dalla brezza costiera; lo stesso effetto me lo fa il sentire il verso dei gabbiani, anche se a volte più che al mare li associo a Dublino, ma è una storia lunga.
Ho bisogno del mare. Per me è qualcosa che mi dà sicurezza: ovunque andrò, anche in un altro continente, so di poterlo trovare. So che per quanto grande possa essere una terra, attorno avrà sempre il mare.
Per questo motivo adoro i porti, che sono il punto d'incontro tra la terra e il mare; sono il massimo a cui ci si può spingere senza salire su una nave e dai quali si può salire su una nave.
Le navi sono un mondo. Una nave quando sta in mare è una piccola città. Compatta, con i suoi stretti e labirintici corridoi, nulla può essere lasciato al caso e tutti sono importanti. Mi ricordo di un esempio che mi fece mio padre: il comandante e quello che pulisce i cessi hanno lo stesso valore. Se quello che pulisce i cessi smette di lavorare, la nave nel giro di qualche ora non va più da nessuna parte. Certo, ci sono gerarchie, diverse responsabilità, ma di nessuno si può fare a meno.
Penso che se fossi salito su qualche nave attorno ai diciotto anni, avrei seriamente pensato di fare il marinaio nella vita.

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