domenica 20 maggio 2012

ISTANBUL, di Orhan Pamuk

Vi succede mai di comprare un libro d'istinto, senza pensarci troppo? Avevo adocchiato questo libro a Dicembre, cosciente del fatto che avrei passato il capodanno a Istanbul. Senza sapere null'altro che il titolo, decisi di comprarlo. Poi l'aquisto effettivo si concretizzo mesi dopo, per non parlare della lettura.
Forse è tutta questa aspettativa che ha reso in parte deludente questo libro. In realtà non è male, anzi è un interessante esperimento. Il libro è una guida della città travestita da autobiografia e contemporaneamente il viceversa. Da ogni pagina traspare il profondo legame che lega l'autore alla sua città ed è interessante vedere associati ai luoghi i ricordi di una persona, di una vita vissuta.

Diciamo che la narrazione non decolla, rimane sempre ad un livello calmo e costante, ma d'altra parte non potrebbe essere altrimenti se si vuole adattare ad una città triste e malinconica come Istanbul. Proprio per questo non riuscivo mai a leggere più di tanto nello stesso giorno, avevo bisogno del giusto tempo per assimilare tutti i luoghi e i ricordi di cui erano impregnate le pagine.
Parlavo di delusione. Mi ha deluso semplicemente perché mi aspettavo che parlasse più di Istanbul. Ma è stata una mia idea fondata sul titolo e d'altra parte per avere maggiori informazioni sulla città mi posso benissimo comprare una guida turistica; il libro non è assolutamente deludente. Poi, ritengo che sia sempre affascinante leggere scrittori culturalmente molto diversi da noi, come Murakami e Vargas Llosa, tanto per citarne due letti di recente. Insomma, parliamo di un libro non imperdibile, ma certamente meritevole.
Coloro che si preoccupano di dare un significato alla vita si interrogano almeno una volta sul senso dello spazio e del tempo in cui sono nati. Che cosa vuol dire la nostra nascita in quest'angolo del mondo, nella tal data? questa famiglia, questo paese, questa città che ci sono stati donati quasi fossero usciti dalla lotteria, che dobbiamo amare e che alla fine possiamo amare, sono state scelte giuste?  [...] E spesso capisco che, proprio come il mio corpo di cui non posso lamentarmi (avrei forse voluto avere le ossa più grosse ed essere più avvenente) e il mio sesso (se fossi stato donna, la sessualità sarebbe stata un problema minore?), anche Istanbul, città in cui sono nato e dove ho passato tutta la vita, per me è un destino inesorabile.
A me piaceva il tram, che percorreva le nostre strade fin dal 1914 collegando Maçka e Nişantaşı con piazza Taksim, Tünel e il ponte di Galata, e tutti gli angoli poveri, antichi e storici della città che allora mi sembravano appartenere a un altro luogo. Mi piaceva il suo gemito, che nelle notti in cui andavo a letto presto mi raggiungeva come una musica triste, e poi i suoi interni di legno, il vetro color indaco della porta sprangata, tra il posto sdell'autista e i sedili dei viaggiatori, e l'autista, che mi permetteva di giocare con le manovelle di ferro mentre aspettavo con mia madre l'inizio della corsa. E sulla via del ritorno le strade, i palazzi, addirittura gli alberi mi parevano in bianco e nero.
La vita non può essere così brutta, - penso a volte. -  Comunque, uno alla fine può sempre farsi una passeggiata sul Bosforo.
Non si interessava né ai monumenti, né alla storia, né alle "bellezze" di Istanbul, come la maggior parte delle persone che considerano la loro città la loro casa.
Finalmente capivo di amare Istanbul proprio per i suoi ruderi, per la sua malinconia, e per il fatto che avesse perduto il prestigio di un tempo.
Voto:3.5/5

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